Archivio

Archive for agosto 2011

Shahbaz Taseer figlio di Salman Taseer è stato sequestrato: La Chiesa in Pakistan estremamente preoccupata

Figlio di Salman Taseer è stato sequestrato e ancora nessun messaggio dai rapitori. Si sospetta che i rapitori sono legati ai gruppi che hanno ucciso Shahbaz Bhatti e Salman Taseer e ora si muoveranno per chiedere la liberazione di Qadri, l’omicida di Salman Taseer. Le autorità della Chiesa cattolica sono preoccupate…!

ecco il fatto raccontato dall’Asia News:

» 26/08/2011 12:50
PAKISTAN
Lahore: sequestrato Shahbaz Taseer, figlio del governatore del Punjab ucciso
di Jibran Khan
Un commando armato lo ha rapito questa mattina, mentre si stava recando al lavoro. Gettati via telefoni cellulari, computer e altri oggetti personali. Esperti affermano che gli estremisti islamici lo useranno come pedina di scambio, per liberare l’assassino di suo padre. La condanna della Chiesa cattolica.

Lahore (AsiaNews) – Questa mattina a Lahore un commando armato di quattro persone ha sequestrato Shahbaz Taseer (nella foto), figlio del governatore del Punjab Salman, ucciso il 2 gennaio scorso per la sua battaglia contro l’estremismo islamico. L’uomo era a bordo della sua Mercedes e si stava dirigendo agli uffici della “World Call”, dove lavora. A pochi metri di distanza dagli ingressi, una motocicletta gli ha sbarrato la strada; da una jeep Toyota sono scese quattro persone che, pistole alla mano, lo hanno prelevato. Il rapimento è avvenuto alle 10.54 del mattino: testimoni hanno visto l’auto dirigersi verso la sede della Defence House Authority (Dha) della città.

Il gruppo di sequestratori ha gettato via i telefoni cellulari e il computer di Shahbaz Taseer, che proprio questa mattina non era accompagnato dalle guardie che gli fanno da scorta. Sin dall’omicidio del padre, infatti, la famiglia è oggetto di minacce e intimidazioni da parte di talebani e fondamentalisti islamici. Salman Taseer è stato assassinato a inizio anno per la sua opposizione alle leggi sulla blasfemia, da lui ribattezzata la “legge nera”, e per la difesa della cristiana Asia Bibi, 45enne e madre di cinque figli, condannata a morte per blasfemia e in attesa di appello. Il governatore del Punjab ha sostenuto con forza la campagna per la liberazione della donna, insieme a Shahbaz Bhatti – ministro cattolico per le Minoranze – ucciso anch’egli per mano di un commando estremista che finora non è stato individuato.

Ora nel mirino degli estremisti è finito il figlio Shahbaz, che secondo alcuni esperti potrebbe essere stato rapito per diventare merce di scambio: il suo rilascio per il proscioglimento di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che ha ucciso a sangue freddo Salman Taseer e diventato un “eroe” nel mondo estremista islamico pakistano. Per i vertici della polizia del Punjab, invece, i motivi del rapimento “sono poco chiari”, perché il gruppo “non ha portato via l’auto, i cellulari, il computer o altri oggetti di proprietà”. Tuttavia, le forze dell’ordine precisano di indagare “a 360 gradi” e non viene esclusa nemmeno la pista “che porta a Mumtaz Qadri”.

Sherbano Taseer, sorella di Shahbaz, ha già lasciato il Pakistan nel timore di violenze. La madre Amina è sotto shock e non ha ancora rilasciato dichiarazioni. Dopo la morte del marito, la donna è in ansia per la sorte del figlio. Intanto il premier Yousaf Raza Gilani e l’attuale governatore del PUnjab Shahbaz Sharif hanno assicurato il massimo impegno per la liberazione di Taseer.

Un sequestro che viene condannato con forza anche dalla Chiesa cattolica pakistana. P. Xavier Francis, della diocesi di Lahore, ricorda ad AsiaNews la “solidarietà” manifestata da Salman Taseer verso le minoranze religiose e sottolinea come “l’assassinio del governatore del Punjab e di Shahbaz Bhatti non sono fatti isolati, ma segnali di un trend” nel Paese. Il sacerdote assicura “preghiere” per Shahbaz Taseer e la sua famiglia: “speriamo – conclude – che torni a casa preso sano e salvo”.

Minoranze Pakistane al Senato: 4 seggi riservati per i senatori delle minoranze. Un’altro contributo di Shahbaz Bhatti che continua “a vivere”

Il Presidente della Repubblica Islamica del Pakistan Asif Ali Zardari , ieri in una cerimonia ufficiale, ha firmato  l’emendamento delle leggi del Senato dal 1975. Questi cambiamenti erano previsti  dal diciottesimo ammendamento nella costituzione Pakistana proposta dal Pakistan People’s Party nel 2010.  

Questo emendamento previsto nell’articolo 51 della Costituzione del Pakistan è introdotto tramite il diciottesimo emendamento per i seggi previsti per le donne e le minoranze. Il Diciottesimo emendamento è già discusso nella corte suprema del Pakistan visto che non permette una elezione dei rappresentanti  delle minoranze ma una selezione da parte dei leader dei partiti.  Secondo alcuni osservatori questa “selezione” è contro la  costituzione approvata nel 1973.

Questi 4 seggi sono stati proposti da Shahbaz Bhatti e il governo del Pakistan si impegnò a dare una maggiore rappresentanza alle minoranze anche nel senato. L’operato politico di Shahbaz Bhatti continua a vivere e  i seggi nel senato sono un importante frutto del suo lavoro. Teniamo presente che da tre anni ci sono due senatori indù, della regione del Sindh, presenti nel senato Pakistano al di fuori dei seggi riservati.

Akram Masih Gill, Ministro dello Stato per l’armonia nazionale , ha detto all’associazione dei Pakistani cristiani in Italia che  il Presidente Zardari ci ha tenuto personalmente  firmare questo particolare  documento in un momento cerimoniale anche per onorare i propri impegni presi con le minoranze e in particolare con il fraterno amico Shahbaz Bhatti.  

Paul Bhatti, consigliere del Primo Ministro con lo status di ministro federale e fratello di Shahbaz Bhatti , si trova in questi giorni in Italia per il meeting di Rimini dove ha portato un suo personale intervento. L’On. Mario  Mauro aveva già invitato Shahbaz Bhatti al meeting prima che questi fosse ucciso dai fondamentalisti il 2 di Marzo 2011.  Paul Bhatti ha detto all’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia che la firma del Presidente della Repubblica  è un concreto segno della volontà di Pakistan per proteggere e rispettare i pieni diritti delle minoranze.

Mehek Masih: Una minorenne cristiana rapita per convertirla all’Islam “per purificarla”

Ecco ciò che riferisce Asia News dal Pakistan sulla conversione forzata all’Islam di una minorenne  cristiana del Pakistan:

» 25/08/2011 10:37
PAKISTAN
Punjab: musulmani sequestrano 14enne cristiana per convertirla all’islam
Mehek Masih è stata prelevata nella sua abitazione, in pieno giorno e sotto la minaccia di una pistola. L’uomo intende “purificarla” facendola diventare “musulmana e mia amante”. Mons. Saldanha: casi di questo tipo sono “frequenti”, la legge non protegge le minoranze. Una delle tante “croci” che devono sopportare i cristiani pakistani.

Lahore (AsiaNews) – Un gruppo di musulmani ha rapito una ragazzina cristiana di soli 14 anni, prelevandola da casa sua sotto la minaccia delle armi e davanti ad alcuni testimoni. Il fatto è avvenuto il 17 agosto scorso a Shisharwali, area residenziale della città di Gujranwala, nel Punjab. Secondo quanto riferisce il Pakistan Christian Post (Pcp), Mohammad Tayeb Butt insieme ad altri quattro musulmani ha fatto irruzione nella casa di Rashid Masih in pieno giorno, ha puntato la pistola alla tempia della figlia Mehek costringendola a salire a bordo di un’auto bianca.

Due giovani cristiani, Imran Masih e Mehboob Masih, hanno provato a soccorrere la ragazza, ma Mohammad Tayeb ha puntato loro contro la pistola, minacciandoli di sparare. “È una Choori” ha urlato il musulmano rivolgendosi a Mehek, utilizzando un appellativo caratteristico del Punjab, per definire in termini sprezzanti e offensivi un cristiano (ad esempio quando i ristoranti o i venditori di cibo da strada musulmani respingono clienti della minoranza religiosa, ndr). Egli ha inoltre aggiunto che la Choori Mehek sarà purificata “con la conversione all’islam e facendola diventare la mia amante”.

Fonti cristiane locali riferiscono che gli attivisti di All Pakistan Minorities Alliance (Apma) hanno cercato di denunciare il caso alla polizia. Tuttavia gli agenti non hanno voluto aprire un fascicolo di indagine – come spesso avviene – a carico di un influente personalità musulmana.

Interpellato da AsiaNews, l’arcivescovo emerito di Lahore ed ex presidente della Conferenza episcopale pakistana mons. Lawrence John Saldanha sottolinea come casi di questo tipo sono “frequenti in Pakistan” e la famiglie “possono fare poco o niente” per salvare le vittime dai loro aguzzini. E aggiunge: “la famiglia musulmana gode di un vantaggio, perché la legge li favorisce”.

Al dramma del sequestro, continua il prelato, si aggiungono “le difficoltà che nel futuro la giovane sfortunata dovrà subire nella famiglia musulmana”. Sono episodi “tristi e tragici” per la comunità cristiana e rappresentano, conclude mons. Saldanha, “una delle tante croci che le minoranze piccole e senza speranza (anche gli indù) devono sopportare in Pakistan”.(DS)

Farah Hatim: Franciscan International presenta il caso presso l’ONU

(foto originale di Farah Hatim: ragazza cattolica rapita, violentata e costretta a convertirsi all’Islam  in Rahim Yar Khan; l’esempio della ipocresia della Lega Musulmana, gruppo Nawaz Sharif)

L’associazione dei Pakistani cristiani in Italia insieme con All Pakistan Minority Alliance sta assistendo la famiglia di Farah localmente mentre Franciscan International ha presentata l’istanza presso il Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Ecco i dettagli narrati   dall’agenzia Fides:

2011-08-22

 “Salvezza e libertà per per Farah Hatim”: appello delle Ong alle Nazioni Unite

Ginevra (Agenzia Fides) – Il caso di Farah Hatim, la ragazza cattolica rapita, costretta a un matrimonio forzato e alla conversione all’islam nella città di Rahim Yar Khan (in Punjab), non è chiuso: alcune Organizzazioni non governative, in Pakistan e fuori dal paese, intendono portarlo ufficialmente all’attenzione delle Nazioni Unite. “Franciscans International” (FI), Ong accredita all’Onu, espressione del mondo francescano, ha inviato nei giorni scorsi un appello a Heiner Bielefeldt, Osservatore speciale dell’Onu per la libertà religiosa, segnalando il caso di Farah Hatim. La ragazza, dopo un ricorso all’Alta Corte del Punjab, aveva dichiarato di voler restare con la sua nuova famiglia musulmana (vedi Fides 20/7/2011). Maa, secondo la sua famiglia di origine, la sua sarebbe stata una decisione “condizionata e forzata”: per questo urge una indagine e un intervanto delle Nazioni Unite. Accogliendo le richiesta della famiglia e di diverse fonti locali in Pakistan, FI chiede al Consiglio Onu per i Diritti Umani e alla comunità internazionale di fare pressioni sul governo pakistano affinchè adotti tutte le misure necessarie “per garantire salvezza e libertà a Farah”. Si chiede che sia trasferita in un luogo sicuro dove possa riprendersi, a livello fisico e psicologico, dopo la drammatica esperienza del rapimento, ed “esprimere nuovamente e liberamente la sua volontà”.
L’Ong invita a perseguire legalmente le persone responsabili del sequestro, e che si compia una seria indagine sul sistema giudiziario pakistano, al fine di garantire l’indipendenza dei tribunali. FI esprime profonda preoccupazione per il fenomeno delle ragazze cristiane rapite e convertite all’islam che, secondo fonti locali di Fides, conta almeno 700 casi l’anno. I francescani lanciano anche un appello contro la discriminazione e l’emarginazione delle minoranze religiose, specialmente cristiane, in Pakistan. Alla luce di tutto questo, chiedono che l’Osservatore speciale Onu per la libertà religiosa compia una missione ufficiale in Pakistan.
Intanto fonti locali di Fides informano che la madre e il fratello di Farah hanno ricevuto minacce di morte da parte di Khalid Shaheen, il politico della Legfa Musulmana-N coinvolto come mediatore (e secondo alcuni come organizzatore) del rapimento di Farah. Il politico, travolto dallo scandalo del caso di Farah, si era dimesso da presidente della Lega a Rahim Yar Khan ma da alcuni giorni ha ripreso il suo incarico. Khalid Shaheen ha intimato alla famiglia di Farah di rassegnarsi e di abbandonare la lotta, minacciando il fratello della ragazza di fargli passare la vita in carcere, tramite a false accuse. La famiglia di Farah, notano fonti di Fides, è amareggiata e sconvolta dall’esito della vicenda, ma non vuole darsi per vinta. L’Agenzia Fides segue da vicino il caso di Farah Hatim e quello, emerso più recentemente, di Arifa Alfed, rapita da un musulmano, fuggita e oggi in pericolo di morte a Quetta (vedi Fides 18/8/2011). (PA) (Agenzia Fides 22/8/2011)

“Il terrorismo non ha religione”: Intervista di Patrizia Caiffa, per l’Agenzia SIR, al Prof. Mobeen Shahid

PAKISTAN

Il terrorismo non ha religione

Una bomba ha colpito oggi una moschea: commento di un esperto

 

Una bomba è esplosa oggi a Jamrud, in una moschea nel nord ovest del Pakistan, a Khyvber agency, una delle zone al confine con l’Afghanistan sotto il controllo dei clan tribali. Si parla di almeno 40 morti e un centinaio di feriti, ma le cifre sono controverse come pure la dinamica dell’attentato. Inizialmente si era parlato di un kamikaze-bambino di 15 anni, ora le tv pakistane riferiscono che la bomba era già stata innescata in precedenza dentro la moschea. L’ordigno è esploso nel momento in cui circa 250 fedeli si erano radunati per la preghiera del venerdì nella moschea. L’esplosione è stata talmente violenta da provocare il crollo del tetto. L’attentato non è stato rivendicato, ma le autorità puntano il dito contro i talebani pachistani che hanno proclamato una jihad contro il governo di Islamabad, colpevole di essersi alleato agli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. In Pakistan, dal 2007 ad oggi, almeno 4.500 persone sono morte in attacchi con bombe, soprattutto negli ultimi due anni. Abbiamo chiesto una valutazione a Shahid Mobeen, pakistano, docente di pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense.

In Pakistan purtroppo le bombe oramai non fanno più notizia, ma stavolta sono stati colpiti fedeli musulmani riuniti in preghiera nella moschea. In quale contesto avvengono questi attentati?
“Questo ennesimo attentato non è una novità nello scenario pakistano della attuale guerra contro il terrorismo, intrapresa dagli Usa in collaborazione con la Nato e il governo pakistano. In questa zona di confine, divisa in 12 zone tribali denominate ‘agencies’, cioè ufficialmente sotto la giurisdizione pakistana ma in realtà fanno riferimento ai capi tribù, si rifugiano spesso i talebani, sotto la protezione di alcuni capi. Gli Usa stanno bombardando da tempo con i droni, per eliminare i nascondigli dei talebani, e il governo e le forze armate pakistane sono pagati per portare avanti la guerra al terrorismo. Gli attacchi sono una reazione alla presenza degli Usa e della Nato in queste zone, che provocano anche divisioni tra sunniti e sciiti”.

Quindi le bombe sono un chiaro messaggio agli Usa e alla Nato?
“Sì le bombe vogliono costringere gli Usa a non compiere più attacchi con i droni. Gli Usa hanno già recepito in parte il messaggio, perché tempo fa il parlamento pakistano ha chiesto di porre fine a questi attacchi. Ma non hanno intenzione di fermarsi, anche perché gli accordi erano stati presi già con il governo Musharraf. Gli attuali partiti invece si oppongono. Dopo la cattura di Bin Laden in territorio pakistano il parlamento ha fatto una risoluzione di condanna dell’intervento Usa, visto come un attacco alla propria sovranità territoriale”.

Nei giorni scorsi ci sono state altre bombe a Quetta e Karachi, con molte vittime e feriti. Ma stavolta è stata colpita una moschea. Cosa significa?
“Significa che i terroristi non hanno una religione. In genere vengono attaccati quei gruppi religiosi che permettono la presenza degli Usa. Altre bombe sono spesso legate a lotte tra partiti locali”.

I cristiani pakistani, che vivono una situazione delicata nel Paese, si esprimono su questi fatti violenti?
“Di solito la Chiesa del Pakistan non prende ufficialmente posizione. Se si fa parlare un vescovo si rischia di metterlo in cattiva luce. In Italia abbiamo creato una associazione di pakistani cristiani proprio per aiutare anche i giornalisti a capire il contesto ed agire in maniera più consapevole, evitando notizie che potrebbero metterci ancora di più in difficoltà”.

E come vive la comunità cattolica pakistana in Italia questi giorni di Madrid?
“Abbiamo mandato una decina di giovani a Madrid, da Roma e da Milano. L’11 agosto, nella messa per la Giornata delle minoranze religiose, abbiamo pregato perché il viaggio del Papa a Madrid abbia successo. Ma soprattutto, visto che alla Gmg ci sono anche giovani musulmani, speriamo che possa dare al mondo una forte testimonianza sul fatto che il dialogo tra le religioni è possibile”.

 

Arifa Alfred: ancora un’altro caso di conversione forzata; questa volta nella diocesi di Quetta

(Foto originale di Arifa Alfred:  Associazione dei Pakistani Cristiani in Italia  assiste  la ragazza e i familiari)

Ecco la storia di un’altra ragazza cattolica, Arifa Alfred,   è stata rapita, violentata e convertita con forza all’Islam.  Lei nega in tutte le maniere la propria conversione all’Islam anche se il rapitore ci insiste che è musulmana.  Lei è della diocesi di Quetta.  In seguito la storia raccontataci dai familiari:

Arifa Alfred è una ragazza cattolica di 27 anni, di Nawa Killi, Quetta, rapita da un uomo musulmano, Amjad, nel maggio 2009. L’uomo è stato aiutato da due complici per compiere il sequestro programmato. Si tratta di due amiche di Arifa, Lubna e Rebecca. Recatasi a casa di quest’ultima,  Arifa è stata drogata.
Una volta in stato di incoscienza, la giovane è stata rapita da Amjad. Quando Arifa è rinvenuta si è trovata in casa di quest’ultimo. Amjad le disse che si era convertita all’islam e che lo aveva sposato, mostrandole un falso certificato di matrimonio.
Arifa ha negato di essersi convertita e tanto meno di aver sposato il suo rapitore, visto che si trovava in stato di incoscienza. Per vincere la resistenza opposta dalla ragazza, Amjad l’ha sottoposta a torture mentali e fisiche. Arifa è stata costantemente drogata, chiusa in casa e picchiata duramente per due anni. Invano Arifa ha tentato più volte di fuggire.
La notte precedente il 1° agosto, Amjad ha picchiato con violenza Arifa, causandole diverse lesioni interne. Il 1 ° agosto, la ragazza ha trovato, per la prima volta in due anni, la porta di casa aperta. Pur gravemente ferita non ha perso l’occasione ed è riuscita a fuggire. Ha preso un rikshaw e si è recata all’ospedale civile, dove le sono state somministrate le cure del caso. Si è poi recata dal fratello Adnan.
La donna ha quindi  denunciato  Amjad, ma la polizia non ha fatto nulla finora per portare il colpevole di fronte alla giustizia. D’altra parte, l’ispettore di polizia ha detto di essere contento che Arifa si fosse convertita all’Islam.
Ora Arifa e la sua famiglia sono in fuga perché hanno ricevuto minacce di morte da parte di Amjad. Amjad infatti afferma che Arifa sia musulmana e che sia sua moglie. Per questo non può scappare di casa, altrimenti verrà uccisa insieme alla sua famiglia. D’altra parte Arifa ribadisce: “sono cristiana e sono sempre rimasta salda nella mia fede cristiana continuando a pregare nel mio cuore Gesù Cristo e la Beata Vergine Maria per ottenere la libertà in questi due anni di prigionia”.

Ricordiamo che ogni anno, in Pakistan, ci sono almeno 700 casi delle ragazze non musulmane che veongono convertite con forza o l’inganno all’Islam. Forse questi rapitori non si ricordano i versetti del Corano che cita che non si può convertire con forza.

L’indipendenza del Pakistan, la Lega Musulmana e le radici del fondamentalismo


Il 14 di Agosto è la festa nazionale dell’indipendenza del Pakistan. Questo giorno è stato possibile grazie ai sacrifici di milioni di persone, di tutti i credi religiosi, che hanno voluto liberarsi dall’imperialismo inglese ed ottenere così uno stato indipendente per sè.
In quel giorno furono creati il Pakistan Est (attuale Bangladesh dal 1971 che ha voluto staccarsi grazie all’aiuto dell’India per motivi etnici ed anche per l’autonomia provinciale che legati al Pakistan Ovest, già sotto la legge marziale, non era possibile) e Pakistan Ovest che è attuale Pakistan con i propri vicini come India, Cina, Afghanistan, Iran e il mare arabico. La terra è unica e molto ricca con le bellezze e risorse naturali ma allo stesso tempo è situata in una regione “calda” per motivi geo-politici.
Il Pakistan fu creato per permettere a tutti i cittadini del Paese di vivere con pari dignità e pieni diritti, e questo è presente nel primo discorso del fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, l’11 di Agosto 1947. Proprio per questo motivo, forse, l’ attuale Lega Musulmana, il partito fondato da alcuni musulmani nel 1906 insieme con Agha Khan III come All India Muslim League di cui il primo presidente fu proprio Agha Khan III, ha avuto difficoltà negli anni 40 a nominare Jinanh come proprio presidente, anche lui un Ismaelita e seguace di Agha Khan. L’ Ismaelismo è una delle tre divisioni principali del Sciisimo che è già una realtà perseguitata dalla maggioranza Sunnita del Paese. Gli Ismaeliti sarebbero già stati condannati come minoranze del Pakistan se Jinnah di persona non fosse Ismaelita. Infatti oggi una parte della famiglia di Jinnah vive nelle periferie di Karachi con estremo disagio ed altri familiari vivono in Francia e in India. Jinnah, scoraggiato dalla divisione dei musulmani, volle lasciare tutto e tornare in Inghilterra e continuare a vivere da avvocato. A questo punto il poeta e filosofo Muhammad Iqbal ha convinto i propri che la guida appropriate in quel momento storico era l’avvocato Ismaelita Jinnah. Iqbal, formatosi in Inghilterra, studiò Bergson e Nietsche, e trasformando il concetto dell Super-uomo con l’ego musulmano parlò del musulmano come l’uomo con la piena consapevolezza che avrà il mondo sotto i suoi piedi.
Proprio in questi anni il fondatore del Jamaat-e-Islami Maulana Maududi era contro la indipendenza del Pakistan in quanto considerava tutta l’India come terra sottomessa ai musulmani perchè dal 713 con arrivo di Muhammad Bin Qasim Hindustan fu conquistato, secondo Maududi, dal mondo Islamico. Per questo si è contraposto a Muhammad Ali Jinnah e non ha voluto la creazione del Pakistan come terra separata per i musulmani ma voleva tutta l’India dopo l’uscita dalla scena degli inglesi. Per lo stesso motivo anche oggi il movimento religioso Jamaat-e-Islami continua a non favorire qualsiasi tipo di politica che voglia realizzare un Pakistan democratico. Jamaat-e-Islami è riuscita ad ottenere i posti riservati per il clero musulmano sia nel parlamento nazionale che nel senato.
Attuale Amir-e-Jamaat Munawar Hassan ieri a Mansoora, il quartiere generale del movimento, ha dichiarato che continuerà il proprio movimento per far uscire l’America e le forze alleate dal Pakistan con tutti i mezzi possibili perchè loro desiderano realizzare il Pakistan come lo sognava il fondatore del movimento Maulana Maududi d’accordo con Shah Wali Allah, Sheikh Sar Hindi e Allama Iqbal.

Mons. Joseph Coutts, On. Mario Mauro e Prof. Mobeen Shahid alla Radio Vaticana sulla giornata nazionale delle minoranze di Fausta Speranza


Fausta Speranza, in occasione della giornata nazionale delle minoranze in Pakistan, per la Radio Vaticana ha intervista il vescovo Joseph Coutts, Presidente della conferenza episcoape del Pakistan, On. Mario Mauro, Parlamento Europeo, e Prof. Mobeen Shahid, Pontificia Università Lateranense e segretario dell’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia.

Ecco l’intervista:

Pakistan. Mons. Coutts: passi indietro nella tutela delle minoranze
Domani in Pakistan si celebra la Giornata Nazionale delle Minoranze, voluta dal ministro Federale per le minoranze religiose, Shahbaz Bhatti, ucciso nel marzo scorso. Ma intanto il ministero per la tutela delle minoranze religiose è stato sostituito da un nuovo dicastero per l’armonia nazionale. Un’iniziativa che mons. Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale pakistana e vescovo di Faisalabad, valuta come “un passo indietro”. Mons. Coutts spiega che si tratta di un “declassamento”, perché il nuovo ministero è senza portafoglio. E dunque il neo-ministro cristiano avrà molti meno poteri: si tratta di Akram Masih Gill che avrà per vice il fratello di Bhatti. “Ma – dice mons. Coutts – insieme non avranno lo stesso impatto di un ministro federale quale era Shahbaz Bhatti”. Domani la Giornata per le minoranze viene vissuta con iniziative di preghiera in varie parti del Paese. E l’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia ha organizzato momenti di preghiera anche in varie città italiane: in particolare una Messa a Roma, nella Basilica di San Bartolomeo dove è conservata la Bibbia personale di Bhatti, e a Milano, nella Chiesa Santuario di Santa Maria dei Miracoli. Fausta Speranza ha intervistato il presidente dell’Associazione dei Pakistani Cristiani in Italia, il prof. Mobeen Shahid.
R. – La Chiesa del Pakistan oggi è perseguitata, anche se non ufficialmente, poiché il governo, da parte sua, cerca di proteggere anche i diritti delle minoranze. C’è, però, una cultura del terrorismo che si è sviluppata negli ultimi 30 anni. La Chiesa oggi è vittima di questa realtà.

D. – Che cosa si può fare?

R. – Noi tutti dobbiamo pregare insieme, ricordando la testimonianza di Cristo. Noi dobbiamo vivere l’amore per Dio e l’amore per l’altro, vivendo dentro la Chiesa. Infatti, The All Pakistan Minorities Alliance, il partito di Bhatti, ha organizzato Messe sul territorio nazionale. Oltre ad essere stati ricevuti dal presidente della Repubblica come figura ufficiale, in un incontro ufficiale, noi chiediamo alla comunità internazionale di cercare di sensibilizzare le varie istituzioni a sostenere le minoranze, anche perché esistono alcune leggi che violano i diritti delle minoranze del Pakistan.

D. – Nell’assetto politico attuale del Pakistan non c’è una rappresentanza della minoranza cristiana significativa. E’ qui il nodo del problema?

R. – Il nodo del problema è proprio questo, anche perché i pochi politici cristiani che vengono eletti non hanno nessun ruolo significativo; purtroppo, nel Parlamento nazionale, i rappresentanti delle minoranze sono sempre molto limitati. Questo è un problema per la presentazione di qualsiasi risoluzione nel Parlamento nazionale. Negli anni ’80, è cresciuto il numero dei rappresentanti musulmani, ma le altre minoranze sono rimaste ferme a 10 deputati.

D. – Cosa fa l’Associazione cristiani pakistani in Italia?

R. – Noi cerchiamo di difendere specialmente i casi di rapimento o violenza sessuale e di conversione forzata all’islam delle ragazze delle minoranze, sia le ragazze cristiane che quelle induiste, che oggi sono particolari vittime del fondamentalismo. (ap)

Alla Messa a Milano prenderà parte l’europarlamentare Mario Mauro, che promuove in Europa iniziative in difesa della libertà religiosa e che, nell’intervista di Fausta Speranza, spiega i motivi di maggiore preoccupazione di Bruxelles per la situazione in Pakistan.

R. – In questo momento la situazione pachistana è particolarmente delicata, perché non solo è stato ucciso Shahbaz Bhatti, ma soprattutto è stato sostanzialmente consentito a chi spalleggia i fondamentalisti di bocciare definitivamente la possibilità di ripristinare una vera democrazia in Pakistan, proprio perché è stato bloccato il processo di riforma della legge islamica, la sharia, e sulla blasfemia. Noi non dobbiamo mai dimenticare che la legge cosiddetta sulla blasfemia in Pakistan è in realtà un meccanismo di delazioni con contropartita: chi denuncia qualcuno per apostasia, automaticamente incamera i beni di quella persona. Sostanzialmente, quindi, c’è un’enorme convenienza nel denunciare i cristiani, ritenendo che alcune loro affermazioni o comportamenti possano essere stati blasfemi. Questo non solo confina i cristiani in un ghetto del quale fanno fatica ad uscire da ormai molti anni, ma sostanzialmente impone un clima di terrore nel Paese, che vige all’interno dello stesso governo, che pure è un governo che ha dato molteplici aperture. Quindi la rinuncia a difendere l’istituzione del Ministero delle minoranze rappresenta quasi il segno di una capitolazione per coloro che hanno ucciso Bhatti.

D. – Lei aveva conosciuto Bhatti?

R. – Sì. Noi ci siamo incontrati più volte proprio all’interno delle istituzioni europee, perché Bhatti aveva promosso una battaglia internazionale, tesa a difendere gli interessi non solo della minoranza cristiana, ma di tutte le minoranze e una forte difesa fatta attraverso politiche di pari opportunità nei confronti – per esempio – delle donne o di quelle caste che nel mondo pachistano vivono costantemente emarginate.

D. – Qual è la sua eredità?

R. – Io credo che l’eredità di Bhatti sia importante dal punto di vista politico, perché Bhatti diceva una cosa semplice: senza riconoscimento della dignità della persona non può esserci convivenza civile. E che sia ancora più importante dal punto di vista – oserei definirlo – ecclesiale, perché Bhatti ci diceva sostanzialmente che la politica non è la risposta a tutti i bisogni della vita dell’uomo e che la risposta più profonda e più vera viene dalla fede e che il senso di una vita di fede è mettere a disposizione la propria esistenza per amore degli altri. Parole che possono apparire un po’ ingenue all’interno di un mondo come quello della politica: in realtà io credo siano le uniche parole che danno senso alla politica stessa. (mg)

Giornata Nazionale delle Minoranze in Pakistan e il Martirio di Shahbaz Bhatti


L’Associazione dei Pakistani Cristiani in Italia oggi, in occasione della gionata nazionale delle minoranze, vuole ricordare il padre della nazione Muhammad Ali Jinnah che l’ 11 Agosto del 1947, nel suo discorso all’Assemblea Costituente, ha chiesto di rispettare i pieni diritti di tutti i cittadini della Nazione.
L’Associazione ricorda inoltre con grande ossequio il Ministro federale Shahbaz Bhatti ucciso da alcuni elementi fondamentalisti che, a differenza di una grossa fetta di popolazione pakistana moderata, lavorano per portare la Sharia nella Nazione.
Il ricordo del martirio di Shahbaz non è solo un’occasione per pregare per lui ma è anche un momento di raccoglimento per tutti i cristiani e tutte le minoranze del Pakistan affinché possano riflettere sulla propria condizione e prospettare delle linee guida per lavorae con il Governo per una maggior tutela dei propri cittadini.
L’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia ha organizzato delle Messe a suffragio di Bhatti durante le quali si pregherà per il Pakistan a Milano, Palermo, Firenze, Parma, Foggia, Campobasso, Telese,e Fidenza.
A Roma, nella Basilica di San Bartolomeo, si terrà questa sera alle 18.30, un ricordo particolare: in questa Basilica, infatti, dedicata a tutti i martiri del terzo Millenio da Papa Giovanni Paolo II, è conservata la Bibbia personale di Bhatti, presso l’altare dei martiri asiatici, donata a tutto il popolo cristiano, in memoria della ricerca della pace, dalla famiglia del ministro.

Testamento spirituale di Shahbaz Bhatti
Le mie radici
Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono il direttore dell’Alleanza di tutte le Minoranze in Pakistan (APMA, “All Pakistan Minorities Alliance”), un’organizzazione rappresentativa delle comunità emarginate e delle minoranze religiose del Pakistan, che opera in sostegno dei bisognosi, dei poveri, dei perseguitati, degli oppressi, soprattutto dei cristiani e delle altre minoranze religiose del Pakistan. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione ed ora presidente del consiglio parrocchiale, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Divenni chierichetto ed assistetti i parroci locali nella messa, il che mi diede l’opportunità non solo di visitare con loro diversi villaggi, ma anche di conoscere in prima persona i problemi della congregazione e della Chiesa in Pakistan.
Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. Mi ritrovai così a riflettere sull’amore di Gesù per noi e pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle. Ciò mi condusse ad essere testimone per la vita dell’amore e del sacrificio di Cristo, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
Al fine di condividere in maniera tangibile e significativa la forza dell’amore di Cristo, insieme ad alcuni amici fondai un gruppo giovanile parrocchiale. Cominciammo a studiare la Bibbia e ad aiutare gli studenti indigenti a continuare i loro studi. Leggevamo la Bibbia, recitavamo il credo ed invitavamo anche altri studenti cristiani ad unirsi al nostro gruppo di studio per acquisire maggiori conoscenze bibliche e trovare maggiore ispirazione. Poi mi iscrissi all’università, dove creai un’organizzazione cristiana con l’intento di riunire i giovani cristiani e di aiutare gli altri. Molti studenti cristiani all’università erano discriminati, venivano picchiati e torturati perché mal visti dalle organizzazioni estremiste islamiche che non li volevano all’università. Si sentivano molto isolati, ma noi li aiutammo. In quel tempo anch’io fui picchiato dagli islamici. Mi minacciarono di morte qualora avessi creato un ’organizzazione cristiana. Ma io risposi: “No, io non vi sto dando noia. Sto solo formando un ’associazione per le mie sorelle e i miei fratelli cristiani”. Replicarono che non potevano permettermelo. Dopo quel giorno mi hanno torturato molte volte e hanno minacciato di uccidermi se avessi continuato nel mio intento.
Voglio condividere con voi la mia testimonianza: in un’occasione, dopo che fui picchiato, mi rivolsi ad un professore, il quale rispose di non poter fare nulla. Ancora una volta organizzai un incontro di studenti cristiani all’università ed ancora una volta venni picchiato. V’era una bacheca universitaria, dove ogni organizzazione affiggeva i propri avvisi. Così, il giorno successivo anch’io vi misi un mio annuncio: “Posso morire per il mio Gesù, ma non posso smettere di riunire le mie sorelle e i miei fratelli cristiani, specialmente gli studenti”.
Questo mio messaggio richiamò molti altri studenti cristiani, che divennero membri della nostra organizzazione e ne sposarono le idee e le finalità, ossia di liberare i cristiani oppressi dalle catene della persecuzione, della discriminazione e del pregiudizio dominante nella maggioranza della società musulmana. Così unimmo i nostri sforzi in questa lotta: davamo lezioni gratuite agli studenti indigenti e regalavamo loro libri; tutto per incoraggiare gli studenti cristiani a proseguire gli studi scolastici ed universitari, in modo da divenire buoni cittadini del paese ed aiutare la loro stessa gente. […]

Io voglio servire Gesù
Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: “No, io voglio servire Gesù da uomo comune”.
Sono appagato dalla mia devozione. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa, hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi. Altrimenti mi avrebbero perso. Al contrario, mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo ed il Vecchio Testamento, i versi della Sacra Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che nostro Signore ha mandato il suo stesso Figlio per la nostra redenzione salvezza, mi chiedo come possa io seguire questo cammino del Calvario. Nostro Signore disse: “Vieni da me, porta la tua croce, segui il cammino”. I versi che più amo della Bibbia recitano: “Venni presso di voi quando ero affamato, quando ero assetato, quando ero prigioniero”. Così, quando vedo la gente povera e bisognosa, penso che sia Gesù sotto le loro sembianze a venirmi in contro. Per cui io cerco sempre d’essere d’aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.

Shahbaz Bhatti: Martire della Chiesa Cattolica. E’ facile uccidere un uomo ma un martire continua a vivere


E’ più facile per i fondamentalisti ad uccidere un uomo che lavora per i diritti umani, l’uguaglianza e per la pace che affrontarlo da martire perchè continua a vivere nei cuori della gente. In questo caso si tratta del caso del martire Shahbaz Bhatti, ucciso il 2 Marzo 2011, per la mano di coloro che l’hanno definito “Kafir” (non-credente). Ma questi, che credono di vivere da musulmani non lo sono affatto perchè per il Corano e il Profeta gli ebrei e i cristiani sono la “gente del libro”. Chi non crede nei profeti venuti fino al profeta Muhammad non è nemmeno un musulmano. E Shahbaz Bhatti non era un semplice cattolico ma lui ha dedicato la vita per difendere le minoranze del Pakistan e salvare i cristiani dalla persecuzione.
In Pakistan un giornalista del “The Express Tribune with The International Herald Tribune”, Zahid Gishkori,
oggi si è permesso di publicare un’articolo del titolo “Shahbaz Bhatti’s Assassination: New clues point to family rivalry as motive for murder” che è veramente una gaff internationale! Perchè le forze dell’ordine coinvolte nell’indagine sull’assassinio di Shahbaz sono tenute al segreto professionale. Cercando la visibilità internazionale la The Express Tribune è andata fin troppo oltre il limite sopportabile per le ambiguità relative alla realtà che in qualità di giornale dovrebbe raccontare. Il giornale non si sà per “quali ragioni” ha messo in dubbio evidente martirio di Shahbaz e Herald Tribune dovrebbe domandare il proprio giornalista per questo gaff che insulta la sensibilità religiosa dei cristiani del Pakistan e ferisce la dignità di tutte le minoranze nazionali per cui Shahbaz ha versato il proprio sangue.
Ci ricordiamo che la conferenza episcopale cattolica del Pakistan ha chiesto al Papa di dichiararlo martire della Chiesa Universale. Tutti i vescovi unanimamente sono certi del genuino sacrificio di Shahbaz. Ora se qualche giornalista per guadagnrsi da vivere o per la fama internazionale cerca di chiudere i propri occhi sulla verità allora lo vada a raccontare a chi l’ha pagato per farlo ma non a noi!!!
Il ministro dello stato del nuovo ministero federale per l’armonia nazionale, Akram Masih Gill, interpellato dall’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia, ci racconta che il giornalista Zahid Gishkori l’aveva cercato. Ma Akram ha precisato che per ora l’indagine è incorso e si può sentire solo il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro del Pakistan.
La direzione nazionale dell’All Pakistan Minority Alliance (APMA) ha dichiarato che la notizia è solo un tentativo di deviare le indagini sull’assassinio del loro leader martire.